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Il Coro in trasferta: Lipsia, Capodanno 2017
di Francesca Busetti

Un gruppo di 13 cantori, un repertorio natalizio, tre automobili e il desiderio di fare musica divertendosi.

Questi gli ingredienti che hanno portato il coro Nova Symphonia Patavina al suo primo concerto fuori dall’Italia, presso la Laurentiuskirche a Lipsia, in Germania.

L’alba del 30 dicembre ci vede partire, carichi di bagagli e di entusiasmo, per i 950 chilometri che ci separano dalla nostra meta. Ad attenderci Johann, un ragazzo tedesco che per un anno ha cantato insieme a noi nel periodo trascorso in Italia dopo la fine delle scuole superiori. Un anno intenso, fatto di prove, di costruzione di un repertorio che ci caratterizzasse, di ricerca del suono, della sfumatura espressiva, di una musica che emozionasse noi e chi ci ascoltava. Ma anche un anno di concerti che diventano occasione per discutere a proposito dell’abbigliamento più adatto al contesto, di uscite in compagnia, di crescita di un’amicizia tra persone di età, provenienze, background professionali molto diversi tra loro. Il nostro primo anno come coro.

Johann ha cantato per anni nel Thomanerchor, antico e prestigioso coro di voci bianche della città di Lipsia fondato nel 1212. Il coro è formato da un centinaio di bambini e ragazzi di età compresa tra i 9 e i 18 anni, appartenenti all’omonima scuola (un liceo linguistico che offre anche una formazione musicale) e residenti in un collegio a loro dedicato. Diretto nel corso dei secoli da celebri Maestri, in primis Johann Sebastian Bach, il coro esegue un repertorio molto vario, che spazia dall’epoca rinascimentale al genere contemporaneo, e si esibisce più volte all’anno in diverse città della Germania e all’estero. Conclusa l’esperienza del Thomanerchor, Johann ha fondato insieme ad altri ex allievi un ensemble di cinque voci maschili. Attualmente iscritto all’universtà, ha organizzato per noi un concerto nella propria città per la sera del 2 gennaio.

 

L’ARRIVO A LIPSIA

Birreria - Immagine non caricata

Lipsia, città della musica, ci accoglie con calore la sera del nostro arrivo. Un’emozione ritrovare Johann dopo tanti mesi e rendersi conto, come spesso accade quando si è condiviso molto, che il filo della nostra amicizia si riallaccia lì dove lo avevamo lasciato, come se il tempo, nel mezzo, non fosse trascorso.

L’atmosfera natalizia è ancora più evidente qui in Germania: alberi finti, ma talmente ben fatti da sembrare veri, adornano ogni chiesa e ogni galleria coperta della città; stelle di carta tridimensionali illuminate dall’interno pendono da ogni soffitto, e nelle vetrine vediamo piccole giostre di legno che girano grazie al moto dell’aria innescato da candele accese alla loro base.

Quale luogo migliore per partecipare al clima di festa cantando brani natalizi lungo le strade? La gente inizia a fermarsi ascoltandoci con curiosità, applaude, lascia qualche offerta di propria iniziativa. Quando spieghiamo che veniamo dall’Italia e che ci esibiremo in un concerto, accolgono con piacere l’invito. Un uomo prende nota del nostro nome, dicendoci che suo figlio l’anno prossimo verrà a studiare proprio a Padova e potrebbe essere interessato a far parte del coro.

Ma Lipsia è, per un musicista, soprattutto la città in cui Johann Sebastian Bach lavorò come Thomaskantor dal 1723 al 1750. Proprio nella chiesa di San Tommaso (la Thomaskirche, a cui afferisce il Thomanerchor) si trova la tomba del grande compositore, e accanto ad essa sorge un museo a lui dedicato. Questi due luoghi saranno la principale meta della nostra visita al piccolo centro storico della città.

Il pomeriggio del 31 dicembre assistiamo a un concerto del Thomanerchor all’interno della Thomaskirche. I posti che Johann ci ha riservato si trovano sul matroneo, posizione privilegiata da cui possiamo osservare sia il coro, sia l’orchestra. L’organo è proprio di fronte a noi, e quando il silenzio è rotto dalle prime note della celebre Toccata e Fuga in re minore l’aria vibra per la potenza della musica. È incredibile pensare di essere proprio qui, nel luogo dove Bach ha composto le sue opere, ad ascoltare ciò che lui stesso e generazioni di tedeschi hanno udito. Mi ritrovo a pensare alla storia di questo popolo e dell’Europa, alle diverse fasi storiche attraversate dalla città negli ultimi decenni, a ciò che queste strade e questi palazzi hanno visto nei secoli. La forza trasversale della musica supera indenne tutto questo.

La sera del 31 si avvicina, mentre ci attende un tradizionale Capodanno tedesco a casa di Johann! Ci sono l’immancabile, bellissimo albero di Natale illuminato da candele vere, dolci speziati fatti a mano, la tradizionale zuppa di carne, funghi e verdura e il miglior vin brulè preparato in casa. Fare prove di coro in questo contesto, nel salotto pieno di strumenti e di spartiti, è ancor più piacevole. A mezzanotte siamo all’aperto, su una collinetta da cui si domina tutta la città: ovunque si volga lo sguardo vi sono fuochi d’artificio, un’esplosione di luce e di entusiasmo che non ci saremmo aspettati da un popolo che viene considerato molto pacato e misurato nelle proprie manifestazioni!

La sintonia all’interno del gruppo aumenta rapidamente con il trascorrere dei giorni, e quasi potremmo scordare il motivo per cui siamo venuti sin qui…

 

IL CONCERTO

La giornata del 2 gennaio è dedicata alle prove generali. Canteremo in una piccola chiesa protestante, la Laurentiuskirche, preceduti dall’esibizione dell’Ensemble Conversalis, la formazione corale in cui Johann canta insieme ad altri quattro ragazzi.

La chiesa inizia a riempirsi già 45 minuti prima dell’inizio del concerto. È la nostra prima esibizione davanti a un pubblico straniero e tra noi è palpabile l’emozione. Non c’è solo la paura di calare o di sbagliare qualche nota. Siamo in pochi, e certamente il senso di responsabilità di ciascuno è maggiore del consueto. Ma, soprattutto, ci teniamo a cantare bene perché siamo ospiti a “casa” del nostro amico, che ci ha accolto e presentato al pubblico con grande calore.

Bach - Immagine non caricata

La nostra voce ci precede, mentre camminando a lume di candela lungo la navata della chiesa intoniamo il brano di apertura di “A ceremony of Carols” di Benjamin Britten, Procession. Gli undici movimenti dell’opera sono accompagnati dall’arpa; il timbro delicato dello strumento, unito ai suoni a tratti dissonanti della composizione e al fascino delle parole, pronunciate in inglese antico, evocano un’atmosfera magica, di sospensione. Vi è una tensione nell’essere costantemente concentrati e attenti all’intonazione, alla pulizia del suono, all’intensità, che porta a una dilatazione del tempo: siamo presenti a noi stessi in ogni singolo momento, senza pensare a ciò che seguirà. L’emozione cresce con il susseguirsi dei brani, culminando nell’ultimo pezzo prima della processione finale con un incalzante rincorrersi delle varie voci, destinato a sfociare nell’intenso accordo conclusivo, che resta nell’aria, come un’eco.

Il seguito del concerto è dedicato ad altri pezzi di carattere natalizio: Preludio e Ninna Nanna di Caraba, Con amores, la mi madre di Bob Chilcott, Ja viene la veja, Gaudete, Carol of the bells.

Il pubblico sembra seguirci con partecipazione, e ce lo conferma con un lungo e cadenzato applauso finale. Johann, che ha cantato insieme a noi, conclude la serata con un discorso in tedesco, del quale cogliamo il senso di ringraziamento e la parola “freunde”, amici. Lo stesso fa la nostra Maestra, Martina Frigo, la quale esprime il profondo senso di gratitudine che proviamo per aver avuto l’opportunità di cantare in quel luogo e l’onore di ospitare tra noi non soltanto un bravissimo cantore, ma soprattutto un amico.

Il luogo comune sulla freddezza del popolo tedesco viene definitivamente a cadere, mentre un emozionato Johann invita un altrettanto coinvolto pubblico a unirsi a noi nel più tradizionale canto natalizio tedesco, e insieme intoniamo “O du frӧhliche”.

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Nova Symphonia Patavina diventa testimonial ADMO

È dal Natale 2015 che la nostra Associazione suona e organizza eventi a favore di ADMO Padova sensibilizzando i più giovani a questa scelta di vita. Spronati dal nostro violinista Andrea Giacometti, vari di noi si sono sottoposti ad un esame del sangue per entrare nel registro dei donatori.

Logo ADMO - Immagine non caricata

Andrea, iscritto da anni nel registro dei donatori di midollo osseo, ha avuto l’occasione poco tempo fa di salvare una vita e più di una volta ha raccontato la sua esperienza agli altri membri dell’Orchestra.

La dottoressa Milena Luca responsabile del centro donatori di midollo osseo di Padova ha accompagnato otto membri della nostra orchestra nella loro scelta di dono verso gli altri facendoli entrare nella schiera dei nuovi donatori ADMO.

“In quest’anno è nato in noi il desiderio del dono – spiega il nostro presidente Davide Fagherazzi – è incredibile come una cosa di per sé così semplice possa potenzialmente salvare una vita. Così come in questi anni le attività della nostra Associazione sono state di ispirazione per molti ragazzi per la nascita di realtà simili alla nostra, per motivare giovani musicisti a mettersi in gioco, così speriamo che questo gesto possa ispirare i nostri colleghi al dono. Non potremmo desiderare regalo migliore! È una gioia per noi essere stati chiamati a diventare testimonial ADMO, un compito che oggi accettiamo con onore e con responsabilità pensando a chi in questo momento si trova ad affrontare situazioni di malattia dolorose e difficili.”

L’Associazione Nova Symphonia Patavina è testimonial ADMO.

Per maggiori informazioni sulla donazione, visita il sito dell’ADMO: http://www.admopadova.org/

 

Postiamo di seguito il videomessaggio del nostro fondatore, il M° Davide Fagherazzi:

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La somma di tutte le esperienze e le conquiste dei musicisti…
di Giulio Biancardi

C’è un aspetto della vita musicale tanto totale e spontaneo quanto purtroppo dato a volte per scontato, ovverosia la somma di tutte le esperienze e le conquiste dei musicisti ch’è l’orchestra. Essa costituisce una mirabile e difficile fusione di tanti mondi diversi quanti sono le sue parti, che possono stare in equilibrio solo con un paziente labor limae che adatti gli spigoli di ciascuno all’ingranaggio generale e questo difficoltoso compito riunisce responsabilità, doveri e una certa maestosa figaggine nella figura del direttore. Ma quale filtro magico dobbiamo bere noi del conservatorio per volgerci in orchestrali capaci di decifrare i segni arcani di questo aspirante mago?

Naturalmente ci si fornisce di un prestigioso e utilissimo corso di esercitazioni orchestrali, che ci inizia al mestiere, ma esso da solo non è capace di esprimere la pluralità e la varietà dell’ammasso di bâtons cui ubbidiremo (si spera) lungo tutta la nostra vita, né quindi, bisogna dirlo, di educarci completamente alla flessibilità richiesta in questo mestiere. Dunque si può scegliere di affrontare impavidi e fieri la vita oppure, come ho recentemente scoperto, assaggiare in anticipo un bocconcino dal banchetto delle bacchette.

Il lungimirante ed illumato direttore dell’orchestra Nova Symphonia Patavina, M° Davide Fagherazzi in questo spirito ha organizzato una graziosa masterclass orchestrale, della durata di tre giorni (30 ottobre- 1 novembre) nell’interesse dei membri dell’orchestra e di altri desiderosi che hanno avuta la possibilità di confrontarsi con un programma interessante e soprattutto con un direttore interessante. Ad occupare il podio è stato infatti il M° Nahel Al Halabi, direttore siriano dal notevole curriculum: ai diplomi in direzione, tromba e contrabbasso seguono i molti concerti con orchestre di ogni dove e la nomina nel 2011 a direttore dei Conservatori siriani, dove organizza compiutamente il sistema dei corsi pre-accademici. Ma è la figura di quest’uomo a colpire maggiormente quando lo si ha dinanzi: statuario nel suo dolcevita beige, ribelle nell’intrico dei capelli scuri, sereno nel sorriso pacato di chi ha ogni cosa saldamente sotto il suo controllo. E davvero quello che sorprende è che nel tumulto del sempre troppo poco tempo per provare prima del concerto finale (tenutosi la domenica) il nervosismo e lo stress non sono riusciti per un solo istante ad adombrare il volto rassicurante di quest’uomo. Perché un direttore rassicurante è sicuramente quello preferito dall’orchestrale, che nella sua pigrizia ama imparare ad eseguire il pezzo con minor fatica e quantità di insulti possibile.. la solerzia e la puntualità del M° Al Halabi sono riuscite infatti a rendere dapprima presentabili e poi decisamente gradevoli due pezzi dai Seas Interludes di Britten, alcune arie di Vivaldi, Verdi, Bizet e Puccini (in collaborazione con alcuni validissimi cantanti), la Tregenda di Puccini per incominciare e la grandiosa Marcia Slava di Tchaikovsky per finire. Impavido egli affrontava a testa alta la prima, temibilissima, lettura del pezzo e poi con voce tenue ma ferma seminava i suoi consigli (non mancando di spiegarci come trent’anni fa avrebbero suonato e come invece facciamo ora) prima gli archi, poi i fiati nell’ordine in cui le sue parole arrivavano, ottoni, percussioni e così via, e le sue spiegazioni andavano straficandosi a formare quel plastico ben delineato e tangibile ch’è il pezzo così come lo sentiamo, e i brani da noi eretti l’uno dopo l’altro si allineavano come una lunga fila di menhir…

Poiché il sabato sera occorre far festa si è data anche una letta alla Quinta Sinfonia del buon Tchaikovsky… una schiera d’angeli che cantando desse il benvenuto ai campi elisi non sarebbe stata diversa dalla meraviglia che si spandeva fuori dalle mani del maestro e dagli strumenti dell’orchestra… e le dinamiche e i cambi di tempo del secondo movimento si susseguivano in un filo interrotto che trascolorava dalle più tenui tinte pastello alle più vive e accese e si decise così che troppa bellezza avrebbe guastato il concerto e alla fine la sinfonia si è tralasciata, ma ciò non ha impedito che la chiesa gotica del collegio Don Mazza straripasse l’indomani di spettatori vivaci e prodighi di applausi. Il M° Fagherazzi afferma contento che la sua orchestra si è trasformata dopo quest’esperienza e sorride ottimista al calendario di concerti organizzati per la stagione, rivolgendo il suo invito ad unirsi alla Nova Symphonia a chiunque abbia voglia di suonare davvero e produrre della buona musica con serietà, poiché è questo che la giovane orchestra ha dimostrato di saper fare: darsi da fare.

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Emozioni in musica: Up is Down
di Francesca Busetti

La mia vita è permeata da una colonna sonora. Probabilmente è qualcosa che capita a tutti, l’avere quasi perennemente in testa una qualche musica che fa da sfondo alla propria giornata. Di questa sensazione ho ricordi molto antichi. Già da bambina, infatti, mi capitava di “udire” la stessa musica per giorni e di non riuscire a “cambiare registro”. A volte trovavo la cosa insopportabile. Ora invece mi piace. Una mattina mi alzo e, dopo un po’, parte 21 Guns dei Green Day. Poi c’è stato il periodo del Valzer dei fiori di Tchaikovsky. L’altro giorno era De Andrè, con Il pescatore, La guerra di Piero, La canzone di Marinella. Perché? Magari potrei cercare qualche studio su musica e Neuroscienze al proposito… ma questa è un’altra storia. 😉

Quello di cui oggi vorrei parlare è l’emozione che ha suscitato in me l’ascolto di una certa musica… non pensate a chissà cosa, è una colonna sonora di una film che non ho nemmeno mai visto e che magari non vi piace. Ma la musica, secondo me, è di grandissimo effetto. È “Up is down”, tratta da “I Pirati dei Caraibi: ai confini del mondo”, di Hans Zimmer.

L’emozione non nasce tanto dall’ascolto della musica in sé, bensì dal suo ascolto dal vivo…

Facciamo un passo indietro. Siete mai stati a un concerto? Non un concerto di musica leggera, un concerto classico. Da piccola non li sopportavo. Studiando pianoforte, ho dovuto assistere a decine di saggi di musica e a qualche sporadico concerto, “così imparate come si fa”, ci dicevano le nostre insegnanti. Io sapevo solo che dopo un po’ non ne potevo più. Se il concerto era di sera, poi, che avevo sonno. E non riuscivo a tenere gli occhi aperti (beh, questo mi capita anche adesso…). Giravo e rigiravo il foglietto del programma vedendo faticosamente procedere la successione dei vari brani, passavo ripetutamente in rassegna il contenuto delle mie tasche e cercavo, ogni tanto, di osservare quelle mani che planavano con tanta grazia sulla tastiera del pianoforte e che io non sarei mai riuscita ad emulare. E alla fine, quando tutti si sperticavano ad applaudire implorando il bis, io guardavo mio papà supplicandolo: “Nooooo, non voglio il bis!!!”. Non che non mi piacesse la musica, anzi, amavo suonare. Tuttavia ho sempre pensato che un conto è suonare, un altro è ascoltare chi suona. Il pianista si emoziona suonando, chi ascolta… dipende. E ascoltare un concerto di pianoforte per me è sempre stato (fino a una certa età) alquanto noioso.

Ma veniamo a quella serata. La serata di Up is Down. Si trattava di una rassegna di cori di vari collegi universitari, a conclusione della quale si sarebbe esibita una orchestra agli esordi: la Nova Symphonia Patavina, orchestra di giovani musicisti diretta da un altrettanto giovane Maestro. Persone che hanno fatto della musica la propria professione, affiancate ad altre per le quali essa è una passione collaterale, ma che studiano o lavorano in tutt’altro ambito.

L’atmosfera che si respira appena prima di un concerto d’orchestra è una fine tensione associata a quel suono multiforme degli strumenti che si accordano, alla voce un po’ strozzata dell’oboe, al respiro che esce dalla cassa dei violini. Ma alla fine tutte le voci si placano, tutti gli occhi si volgono al Maestro, il silenzio è sospeso sulla punta di quella bacchetta. La platea è anch’essa attenta e immobile, sembra trattenere il respiro, e io mi sporgo dal mio osservatorio privilegiato, su uno dei lati dell’orchestra. Di fianco a me, sulla destra, ci sono i violoncelli e i contrabbassi e proprio di fronte la schiera di violini.

Un tocco della bacchetta…

Il suono parte proprio dalla parte opposta alla mia, dove ci sono gli ottoni e i clarinetti, un piccolo crescendo carico di tensione che cede subito la parola agli archi. Ritmano il tempo caricandolo di aspettativa mentre, sotto, i violoncelli muovono brevi e rapide onde in su e in giù. Il corno vibra e conclude. Di nuovo la stessa musica sospesa, ma parte anche il triangolo adesso, un tintinnio ritmato che suona di velata minaccia col suo lieve timbro metallico.

Ed eccolo, finalmente, il violino, col suo suono guizzante e rapido che volteggia sicuro sopra la base intessuta dal resto degli archi. Cede la parola al flauto traverso, che ripete la stessa melodia su un tappeto rullante di percussioni che mi fanno immaginare un gran trapestio di piedi. Partono i corni, solenni, con un timbro quasi da battaglia medievale, che trascinano la tensione ancora più su, sembrano ingrossare le fila di tutti questi suoni che sgorgano come un fluido dagli strumenti. Poi tutto si ferma. È solo un attimo. I tromboni raccolgono le fila e danno di nuovo il via alla medesima melodia ritmata, ma stavolta ci sono tutti, violini, viole, violoncelli, contrabbassi, oboi e clarinetti, e le percussioni, che ora ci danno dentro sul serio e trascinano l’orchestra in questa sorta di galoppo. Ma era solo la premessa: una breve scaletta discendente da parte dei fiati, e attacca il pezzo forte. Tutto il resto non era servito che a preparare questo, il momento solenne. E infatti lo espongono coloro che hanno la voce più grossa, gli ottoni, gli oboi, i fiati più corposi. Gli altri strumenti ci sono, continuano a sostenerli con il loro ritmo incalzante e ogni tanto qualche strumento più esile fa capolino con una cascata di suoni, per poi tornare nell’ombra. La musica ci trascina, il volume aumenta, pensiamo di essere arrivati al momento fondamentale del pezzo. E invece no.

Si passano rapidamente la palla flauto, clarinetto e fagotto, che riprendono un assaggio dell’incipit, giusto per farcelo ricordare, e lo lasciano concludere a corni e archi, tutti insieme. Ed ecco che ripartono i corni, e io li guardo rapita, mentre solenni riprendono una scaletta ascendente, che un gradino alla volta va sempre più su, chiama tutti a raccolta ed aumenta la tensione. Sotto, gli archi battono sempre sulla stessa nota, veloci. Io provo un’emozione quasi fisica, tangibile, qualcosa che cresce dentro e mi trascina. Saranno tutti quei suoni a due passi da me, quei colori, quelle forme, e quel respiro che la musica produce uscendo dagli strumenti e che non percepiamo se non dal vivo. Intanto gli ottoni continuano nella loro scalata, e ogni passo che compiono è rafforzato dai tromboni che fanno loro eco.

Uno strappo dei corni conclude la frase, poi i violini riprendono ad insistere sulle stesse due note, su e giù in questo vortice che cresce ed è ormai inarrestabile. Sotto, gli ottoni gettano con potenza brandelli del tema, rafforzati dai colpi decisi delle percussioni. Ripartono i corni, e stavolta ci siamo sul serio. Dispiegano la melodia che ormai conosciamo, i violini fanno un piccola chiosa fornendo loro l’ultimo scalino al quale nuovamente questi si agganciano, e si vola verso la conclusione. Ognuno con la propria voce, tutti gli strumenti, archi, ance e ottoni appesi a quelle tre note lunghe, definitive, che si ripetono, e sembra quasi un coro di voci umane. Si appoggiano pesantemente le percussioni, tutta l’orchestra è lì, in quelle ultime battute cadenzate, che a fatica si trattengono e rallentano, e si allargano distendendosi finalmente nella nota conclusiva. Il suono sfuma e svanisce con un ultimo tuffo delle percussioni. Resta solo l’eco. E l’emozione che rimane sospesa.

Solo gli applausi coprono tutto. Credo proprio che, stavolta, il bis lo chiederò anch’io. 🙂

 

Fonte: http://francescabusetti.wordpress.com